È la microstoria, il racconto minuzioso degli eventi quotidiani, degli intrecci non prevedibili capaci di spalancare finestre di senso inatteso, ad arricchire di stratificati nessi interpretativi ed emozionali la nostra conoscenza della storia, mettendo in risalto su di un palcoscenico illuminato da una luce piena, senza più ombre e nebbie percettive, la rappresentazione di quell'opera a volte tragedia ed altre commedia che è la vita umana.
È proprio la microstoria la protagonista dello spettacolo 'delirio di un amore antico' rappresentato nella Sala del Lazzaretto dell'Ex Ospedale della Pace, luogo suggestivo, ricco di affreschi, destinato in passato all'accoglienza dei lebbrosi e quantomai adeguato all'opera per l'aura di tristezza e sofferenza antica da cui è permeato.
Lo spettacolo, organizzato dall'associazione culturale Mani e Vulcani rievoca la figura di Carlo Gesualdo(1566-1613) e la tragica vicenda a lui collegata, l'uccisione della moglie Maria D'Avalos e del suo amante Pietro Carafa. Il regista nonché attore nelle vesti di Carlo Gesualdo è il prometeico Maurizio Merolla. Siamo nella fatale notte tra il 16 e il 17 ottobre 1590 a palazzo Sansevero, luogo della tragica morte. Gli allestimenti scenografici sono riproduzioni perfette di suppellettili dell'epoca, il colore predominante è il rosso purpureo, vivo forte, come verniciatura a fuoco sulle pareti dell'anima.
Il linguaggio utilizzato nei dialoghi è accattivante e coinvolgente in quanto intreccio linguistico di napoletano, spagnolo ed italiano e connota il carattere dei personaggi anche attraverso il loro autoctono flusso di coscienza verbale. La visuale è interna alla narrazione, la chiave di lettura è quella dell'amore impossibile tra Carlo e Maria e tra Maria e Fabrizio, è la descrizione perfetta della lacerazione dell'uomo, preda di un sentimento non corrisposto o non realizzabile, frammenti di una passione amorosa spezzata, imperfetta e meravigliosamente umana, particelle emotive di poesia, endecasillabi sonori che trasportati dall'aria daranno vita ad un melodioso suono celeste, un madrigale cromatico a più voci.
Angela Antonella Chiaiese
Sonetto dedicato a Maria D'Avalos e Fabrizio Carafa.
In morte di due nobilissimi amanti.
Piangete, o Grazie, e voi piangete, o Amori,
Feri trofei di morte, e fere spoglie
Di bella coppia, cui n'vidia e toglie,
E negre pompe e tenebrosi orrori.
Piangete, o Ninfe, e 'n lei versate i fiori,
Pinti d'antichi lai l'umide foglie;
E tutte voi, che le pietose doglie
Stillate a prova, e i lacrimosi odori.
Piangete, Erato, e Clio, l'orribil caso;
E sparga in flebil suono amaro pianto,
In vece d'acque dolci, ormai Parnaso.
Piangi, Napoli mesta, in bruno manto,
Di beltà, di virtù l'oscuro caso;
E 'n lutto l'armonia rivolga il canto.
Alme leggiadre a meraviglia, e belle,
Che soffriste morendo aspro martirio,
Se morte, amor fortuna, il Ciel v'uniro,
Nulla più vi divide, e più vi svelle;
Ma, quai raggi congiunti, o pur facelle
D'immortale splendor nel terzo giro,
Già fiammeggiate; e del gentil desiro
Son più lucenti le serene stelle.
Anzi è di vostra colpa il Cielo adorno,
( Se pur è colpa in duo cortesi amanti )
Fatto più bello all'amoroso scorno.
Chi biasima il vostro error ne' tristi pianti,
Incolpi il Sol, che ne condusse il giorno,
Ch'in tal guisa fallir le stelle erranti.
Torquato Tasso.