Una sedia, un tavolo e due bottiglie. non c'è bisogno di molte suppellettili ed orpelli sulla scena, quando in essa va il coraggio.
Il coraggio di un artista come Pippo Delbono, che non ha paura di raccontarsi, e lo fa con profonda e arguta ironia, quel tipo di ironia leggera che scaturisce solo dall'aver attraversato un grande dolore. Delbono si narra a tutto tondo ed è insieme voce e corporeità ed immaginazione e sogno. Il suo strumento vocale, perchè la sua è più di una semplice voce ; ci trasmette il senso degli ossimori che caratterizzano la vita umana: sussurri pieni di forza ed urla intessute di fragilità.
E' un racconto a cui non si può restare indifferenti, soprattutto in determinati momenti carichi di pathos, come quando soffia con forza all'interno di una bottiglia, producendo un suono, il suono del dolore che fa vibrare il tuo corpo attraversandoti per poi trasformarsi in una melodia o come quando riproduce una danza che ti arriva dritta al cuore. Danza nata in un periodo in cui la mobilità del suo corpo era limitata; riprova che in ogni nostro gesto comunicativo non conta l'estensione del movimento , ma la massima espressione che ti consente il dolore.
Quelli di Delbono non sono 'Racconti di Giugno' bensì narrazioni eterne dell'estasi e del tormento dell'animo umano.
Angela Antonella Chiaiese